La Sclerosi Multipla è una malattia estremamente complessa, soprattutto per l’imprevedibilità dei sintomi che condizionano il grado di autonomia della persona per le caratteristiche intrinseche della malattia, non è possibile prescindere dalla sua influenza sulla vita emotiva, psicologica e sociale dell’individuo.
La comunicazione della diagnosi di una malattia cronica e progressiva come la sclerosi multipla pone non poche difficoltà etiche e comunicative al medico che si interfaccia con il paziente.
Esiste un modo perfetto e chiaro per dire a una persona che da questo momento in poi ha una malattia con la quale dovrà condividere le proprie scelte di vita? Molti medici si interrogano sugli aspetti, non solo etici, ma anche qualitativi di una comunicazione difficile anche per chi ha molta esperienza clinica. Resta qualcosa che non si vorrebbe mai dire, perché si può rallentare il processo, ma al momento di Sclerosi Multipla non si può guarire. La difficoltà che un clinico si trova ad affrontare in questi momenti rappresenta il lato umano della medicina.
Negli ultimi anni, dopo una corsa verso l’individuazione di nuove diagnosi, sempre più avanzate e accurate e nuovi trattamenti farmacologici in grado di rallentare la progressione della malattia, molte ricerche hanno avuto come obiettivo principale l’approfondimento degli aspetti psicologici della persona malata di sclerosi multipla e il rapporto medico-paziente in questo particolare contesto clinico.
Per la sua complessità, la sclerosi multipla è una patologia che impone un’assistenza continua che risponda ai bisogni dei pazienti nelle diverse fasi della malattia. Un rapporto tra medico e paziente qualitativamente buono garantisce il requisito di base necessario alla condivisione delle terapie più adatte al singolo paziente.
Ezekiel e Linda Emanuel, due studiosi che lavorano presso il Dana-Farber Cancer Institute e la facoltà di Medicina dell’Università di Harvard, hanno descritto quattro modelli di rapporto medico-paziente: paternalistico, informativo, interpretativo e collaborativo. I due studiosi hanno criticato il modello informativo perché, secondo loro, riproduce lo standard del semplice consenso informato. Da ciò si evince come la comunicazione della diagnosi non possa essere considerata semplice informazione e che di certo non possa prescindere dalla psicologia del paziente. Gli autori considerano il modello informativo non realistico perché presuppone un paziente capace di prendere decisioni molto complesse e che abbia un sistema di valori ben noti e definiti. Ezekiel e Linda Emanuel sostengono che questo modello svaluti la figura del medico ridotto a un semplice distributore di informazioni e di prestazioni tecniche.
La motivazione al trattamento sembra più forte e stabile quando lo stile comunicativo del medico coinvolge il paziente in modo attivo. Si intuisce che i modelli interpretativo e collaborativo siano più adatti a produrre una relazione più stabile nella cura di malattie croniche come la sclerosi multipla. Nello spazio riservato dal medico alla comunicazione con il paziente è quindi utile un grado d’interazione tale da consentire l’espressione dei bisogni di quest’ultimo.
Una relazione di tipo collaborativo necessita di tempo e ciò mal si associa con i brevi tempi assistenziali della routine clinica. Per tale motivo è necessario creare uno spazio-tempo adeguato a una comunicazione così delicata. Una maggiore comprensione è garantita dalla discussione approfondita dei vari passaggi di assistenza e di cura con la persona che ne necessita. Tutto ciò richiede ascolto attivo, capacità comunicative, osservazione ed empatia.
Le capacità comunicative e relazionali non sono solo frutto dell’esperienza, possono essere migliorate e spesso alcuni medici sentono il bisogno di apprendere le tecniche più adeguate per una buona comunicazione.
La comunicazione nelle diagnosi delle malattie croniche racchiude in sé un coinvolgimento emotivo più intenso: il medico è spesso consapevole che l’offerta di cure che può offrire, in alcuni casi, debilita o invalida il paziente ed è, in altri casi, a solo fine palliativo. La prognosi è talvolta infausta.
Gli aspetti che influenzano la comunicazione e la relazione tra persone. sono molti: ogni persona è anche la sua storia, prima di essere medici e pazienti gli attori della comunicazione sono persone. Ogni comunicazione avviene in un contesto caratterizzante: la comunicazione tra un medico e un paziente si verifica in un contesto sanitario con la sua storia che in alcuni casi può condizionare la qualità e la quantità delle informazioni che vengono scambiate tra gli attori della conversazione.
Durante un’interazione così delicata come quella della comunicazione della diagnosi entrano in gioco anche lo stato cognitivo e affettivo del paziente, la capacità di insight che influenza la percezione della relazione da parte del paziente. Insight in psicologia si intende la capacità di vedere dentro una situazione o dentro se stessi, quindi, in genere è una percezione chiara, intuizione netta e immediata di fatti esterni o interni. La Sclerosi Multipla può, infatti, avere effetti sull’umore, sul modo di percepire la realtà e sulle scelte comportamentali: sin dall’esordio della malattia, possono insorgere problematiche psicologiche e cognitive. Apprendere di avere la sclerosi multipla peggiora la propria qualità di vita allo stesso modo della presenza di una moderata disabilità fisica. Alcuni casi richiedono molta cautela: quelli di persone minorenni, instabili emotivamente, prive di un supporto familiare o affettivo.
Un buon rapporto medico-paziente si fonda su fiducia, rispetto reciproci e tutto ciò è necessario per instaurare un fruttuoso rapporto terapeutico. Oggi esiste la possibilità di modificare il decorso della malattia con terapie assunte precocemente, per questo motivo è necessario scegliere la terapia più opportuna.
In una indagine prospettica (Ytterberg C. et al. 2008) che ha coinvolto 219 pazienti svedesi con sclerosi multipla, la maggior parte ha dichiarato come non sia rimasta soddisfatta delle circostanze e del modo in cui è stata effettuata la comunicazione della diagnosi. Ma come andrebbe comunicata la diagnosi di sclerosi multipla?
Sulla base di evidenze cliniche, si ritiene necessario rivolgersi prima di tutto alla persona interessata, accompagnata o meno da persone per lei significative. È importante usare una terminologia semplice e chiara, associata a spiegazioni esaurienti sulla malattia. La prassi non può essere standardizzata perché la relazione e lo scambio comunicativo sono unici, così come la realtà clinica del paziente.
Lo stress associato alla scoperta di esseri affetti da sclerosi multipla può avere un impatto negativo sul grado di soddisfazione da parte del paziente rispetto alla relazione con il curante.
Il rapporto di “alleanza terapeutica” tra medico e paziente va costruito insieme, passo dopo passo. Durante lo scambio comunicativo per valutare l’adeguatezza e la comprensibilità del messaggio trasmesso, occorre considerare alcuni aspetti:
- la capacità e il livello culturale del paziente;
- adattare la terminologia utilizzata per diminuire le differenze tecniche e scientifiche tra medico e paziente;
- riconoscere lo stato psichico del paziente in quel particolare momento.
È utile anche riconoscere le emozioni del paziente, dedicando del tempo ad ascoltare la sua storia permettendo di esprimere i suoi vissuti relativi al suo stato di salute, per esprimere se stesso e le sue emozioni. Tutto ciò guida gli attori della comunicazione verso il raggiungimento di una realtà condivisa e il coinvolgimento attivo del paziente nel processo terapeutico.
L’aderenza al trattamento consiste proprio nel considerare il coinvolgimento partecipe del paziente alla pianificazione e all’attuazione del trattamento elaborando un consenso basato sull’accordo e sulla condivisione di responsabilità nella scelta della terapia più adatta. All’interno di questo concetto diventa implicito comprendere quanto sia importante procedere verso la cura della malattia, rispettando le scelte individuali in relazione ai costi e ai benefici del trattamento stesso. Sottoporsi a un’eventuale terapia farmacologica, i cui effetti collaterali possono pregiudicare irreversibilmente le proprie scelte e la qualità della vita, è una scelta che va necessariamente compresa fino in fondo. In questo percorso il paziente deve percepire il medico come alleato e insieme a lui decidere ciò che è più opportuno rispetto alla prospettiva futura di una diminuzione e un rallentamento dei sintomi e della progressione della patologia.
I sintomi della sclerosi multipla rappresentano già un percorso difficile e imprevedibile e hanno un grosso impatto sul benessere psicologico del paziente. Le figure parentali sono molto significative nel sostenere emotivamente il soggetto, durante i momenti di sconforto e di disagio soprattutto nelle fasi in cui il paziente è costretto a compiere scelte importanti o ancora, quando si confronta con una serie di sintomi che condizionano la necessità ad adattarsi alla nuova quotidianità.
Questa malattia neurologica può avere effetti sull’umore, sul modo di percepire la realtà e sulle scelte comportamentali. Eventuali cambiamenti che possono verificarsi nel modo di comportarsi possono essere considerati normali rispetto al periodo che si sta vivendo (conoscenza della diagnosi e sintomi) e spesso sono sottovalutati dai familiari. A volte però non si tratta di uno stato passeggero: alcuni cambiamenti possono trasformarsi in problematiche psicologiche più complesse dando, per esempio, origine a una depressione, a uno stato ansioso o a una condizione di stress eccessivo che nel tempo può causare l’esordio di un disturbo dell’umore.
Durante i primi sintomi che conducono alla diagnosi di sclerosi multipla, il paziente deve affrontare un complesso processo di ridefinizione e ristrutturazione interna ed esterna, per ciò che riguarda il rapporto:
- Con il proprio corpo;
- L’immagine di sé;
- Il proprio progetto di vita;
- Le relazione con gli altri.
Queste modificazioni, oltre a mettere in crisi le certezze precedenti e i progetti per il futuro possono interferire con il senso di identità e generare sentimenti di sconforto e di crisi. È una fase comune a molte persone che permette successivamente di attivare il processo di sviluppo necessario a integrare l’esperienza della sclerosi multipla nella propria esistenza.
Il momento della diagnosi determina una reazione psicologica molto intensa anche nei casi in cui non siano presenti dei sintomi rilevanti. La consapevolezza di dover convivere d’ora in avanti con una malattia cronica determina emozioni forti e difficili da gestire. È frequente provare paura, rabbia, frustrazione, sconforto, impotenza, senso di colpa nei confronti dei familiari insieme al desiderio di negare ciò che sta accadendo.
Le reazioni emotive che si manifestano in questi frangenti sono spesso un’amplificazione di risposte emotive abituali e già conosciute. La forza della reazione emotiva può condizionare il grado di adattamento e di accettazione alla malattia rendendo molto difficile la convivenza con la sclerosi multipla. Solitamente l’intensità iniziale tende a diminuire per una serie di ragioni: frequenza presso il centro sanitario specializzato, abitudine alle manifestazioni della malattia e anche per l’attivazione di risorse personali e sociali. Se questo non avviene, si può andare incontro a un progressivo esaurimento della capacità di reazione e possono insorgere problematiche più gravi che possono diventare croniche.
Ciò che si verifica quindi è spesso una vera e propria crisi esistenziale generalmente centrata su problematiche relative alla dimensione del tempo, alla propria identità, alla vita e alla morte e al significato della vita.
Di fronte a una malattia che minaccia la qualità della vita il pericolo è di lasciarsi andare a un crollo psichico. Molti pazienti hanno testimoniato che esiste tuttavia la possibilità di un riassetto dei propri valori esistenziali, un’opportunità di cambiamento e di crescita personale.
Gli psicologi che hanno studiato il processo di reazione alla diagnosi hanno osservato come la crisi si evolva attraverso quattro fasi successive: shock, reazione, elaborazione e di ri-orientamento.
La fase di shock è quella immediatamente successiva alla diagnosi, vissuta in generale come una catastrofe, una rottura nel senso di continuità dell’esperienza di sé. Il paziente per proteggersi reagisce mettendo attraverso meccanismi di difesa psicologici che lo aiutano a evitare un confronto diretto con la realtà che non è preparato ad affrontare: uno di questi meccanismi è la negazione.
La fase di reazione è quella in cui la realtà si impone attraverso le procedure mediche e i trattamenti farmacologici. L’impatto suscita angoscia, rabbia ed è possibile che il paziente, per contenere questa “tempesta emozionale”, metta in atto meccanismi di difesa psicologici che se transitori gli permettono di gestire la realtà senza essere sopraffatto dalle emozioni. Si possono osservare casi nei quali il paziente riferisce di non essersi mai sentito così in forma (difese maniacali), regredisce a comportamenti infantili (regressione), diventa aggressivo nei confronti di qualcuno a cui attribuisce tutti i suoi mali (proiezione), parla della diagnosi con indifferenza come se non lo riguardasse (isolamento delle emozioni dai fatti) e, infine, assume un atteggiamento scientifico esasperato nei confronti della malattia (razionalizzazione). Queste modalità di funzionamento psicologico hanno alti costi in termini di energie psichiche ed è possibile che il paziente si senta angosciato, depresso, stanco e spossato. È importante sapere che questa sensazione non è collegata al fatto di non potercela fare, ma rientra nel campo delle reazioni comprensibili di fronte a eventi difficili della vita.
La fase di elaborazione inizia in genere dopo un certo periodo in cui i trattamenti farmacologici e i controlli sanitari diventano una routine a cui ci si abitua. Il paziente si trova di fronte a una situazione di vita obiettivamente mutata e spesso sembra aver perso la progettualità. Il paziente cerca un senso a ciò che gli è successo e una risposta al perché sia successo proprio a lui: è il momento della riflessione sulle scelte effettuate in passato, sui propositi o i desideri mai realizzati.
La fase del riorientamento è quella successiva a ogni controllo medico e ripropone le problematiche precedenti.
Un buon contatto con il medico curante è fondamentale in tutte queste tappe. Le conseguenze psicologiche di questo percorso possono essere pesanti da sostenere e da elaborare ed è possibile che il paziente o i suoi familiari abbiano bisogno di un sostegno psicologico. È quindi fondamentale la sensibilità del medico stesso che resta un punto di riferimento costante del paziente nel cogliere tali problematiche e valutare la necessità di un intervento psicologico o psicofarmacologico informando il paziente in modo tale che si senta compreso e intuisca la possibilità di essere aiutato.